Archivio per settembre, 2014

malta busMalta, estate 2014. Salgo con la mia famiglia su un bus Maltese, non consapevole che stavo per assistere ad una inaspettata lezione educativa, o quasi.

Nei bus Maltesi ci sono alcuni posti riservati, due sono riservati ai portatori di Handicap uno alle madri con bimbi piccoli sul passeggino (il disegno raffigura una donna ovviamente). Si vede che son stati dominati dagli inglesi, che hanno una pessima cucina, ma su questa cose son forti.

Il bus è pieno, molti turisti, qualche maltese.

Salgo con fatica con il passeggino, sia per la sabbia incastrata nelle ruote sia per la quantità di persone che mi trovo davanti.

Mentre mi faccio faticosamente strada sento la voce dell’ autista che sembra dire: stand up (alzarsi)

Spingo il passeggino (10 cm)

– Stand Up

Spingo il passeggino (20 cm)

-Stand Up (la voce si fa sempre più vicina)

Spingo il passeggino ( 50 cm)

-Stand Up (la voce è ormai alla mie spalle)

Mi giro. Il piccolo autista si para davanti ad un turista 40-50 enne comodamente seduto sul posto dedicato alle donne con figli. Il simpatico turista ha inoltre adagiata sulle gambe la corpulenta e abbronzata fidanzata.

Il piccolo autista con aumento esponenziale del volume della voce e guardandolo dal basso all’alto dice: Stand Up, you understand ? (alzati, hai capito?).

Il turista risponde:  I understand (ho capito)

L’autista ripete 4-5 volte la stessa domanda ricevendo la stessa risposta. (Ho avuto la netta sensazione che si aspettasse le scuse, ovviamente mai arrivate)

Epilogo: Il turista si è alzato ed ha lasciato il posto a me, che come ben sapete non sono una madre, ma che in quel caso ne interpretavo il ruolo. Fine della storia, per fortuna. (Poteva andare anche peggio, citando Igor in “Frankenstein junior”).

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Ho, in prima battuta, quasi solidarizzato con il turista, perché il tono mi era sembrato forte, aggressivo, quasi eccessivo.

Poi, riflettendoci ci ho ripensato.

E’ vero, si possono dire le cose in diversi modi, con differenti toni, magari più pacati, ma sedersi sul posto dedicato ai portatori di handicap o alle madri con figli è un’azione culturalmente violenta, fatta di superficialità, disattenzione, insensibilità o ignoranza e che ha un significato anche visivo, terribile, per me inaccettabile. Un’azione che nega un diritto.

Ci siamo quasi abituati alle macchine posteggiate nel parcheggio riservato, sui marciapiedi che non ci facciamo caso, se non quando quel posto ci serve. Se non quando, con il passeggino siamo costretti a passare in strada, rischiando la vita. Fino ad allora rischiamo di esser tolleranti, di dire: vabbè, di passare oltre.

L’autista questa volta ha deciso di non far finta di nulla e di dire, di parlare. Di dire in modo forte, magari anche eccessivo. Forse perché stanco o perché costretto a ripeterlo più volte, ad alzarsi dal posto di guida oppure perché il turista non si è mai scusato. Magari le scuse avrebbero condotto l’autista a moderare il suo tono.

Non è importante ora perché fosse arrabbiato. L’autista era orientato alla difesa di un diritto.  Da questo punto di vista : “chissenfrega dei modi “, verrebbe da dire. Mica si può sempre parlare in modo gentile a chi manco si accorge di ciò che sta facendo. Mica si può accettare che manco ci si scusi per aver occupato un posto di cui non si hai il diritto.

Non amo i gesti violenti e nemmeno le modalità aggressive, sia chiaro, ma in alcuni casi, forse un pochettino di forza nelle parole non guasta.

Altra cosa che mi ha colpito, in conclusione, è stata la mia reazione. Son sembrato quasi più interessato a tutelare il turista che a tutelare un diritto che in quel momento avevo. Mi son sembrato, inoltre, più attento alla forma (certamente importante) che alla sostanza. Più attento agli altri che a me. Mi ero quasi dimenticato che il posto fosse dedicato a chi era in una situazione di maggiore difficoltà rispetto agli altri. Quindi a chi andrebbe maggiormente tutelato. Mi era sfuggito che l’autista stava lottando per il rispetto di un diritto.

Detto questo, mi rimangono aperte alcune domande, eccole.

  • Riusciamo a tollerare che sia necessario, in alcuni casi, usar la forza per far rispettare i diritti delle persone?
  • Possiamo pensare che l’uso della forza (in questo caso verbale) possa essere anch’essa un’azione educativa?

Ad entrambe le domande, fatico a rispondere in modo chiaro e deciso. La mia “allergia” alle modalità aggressive mi condiziona.

 Christian S.

 Ps: Un altro strano caso in cui la vita si intreccia con l’educazione, vero A.M.?

LAMPSe è buio accendi la luce

14  Aforismi (Parte 1)e una riflessione ( Parte 2) a partire da alcune domande:

-“Quali sono le zone oscure dell’educazione?
-Quali elementi ci sono nell’ educazione e nella pedagogia che, se non vengono valutati, portano l‘azione educativa ad essere “pericolosa” per chi educa e chi è educato?
-Chi sono i cattivi maestri?
Oppure la pedagogia può come disciplina, citando Marguerite Yourcenar,  saper guardare nel buio con disobbedienza, ottimismo e avventatezza e scoprire strade inusitate?” by #pedagogicalert

Quali sono le zone oscure dell’educazione?

1- Ultimamente la cosa più oscura che trovo nella educazione è l’educatore.

2 – Alle volte quello che appare più prossimo e lampante, all’educatore, invece, risulta stranamente oscuro e invisibile.

3 – Il problema dell’educazione sta nel sostantivo. Dovrebbe essere solo un verbo e non un sostantivo. Non dovrebbe esistere il sostantivo educatore ma solo il verbo educare. (In ambiente anglofono, se non erro, il sostantivo educatore non esiste).

4 – Il problema dell’educazione è nato quando ne hanno fatto una professione.

 

Cosa, se non viene valutato, rende pericolosa l’educazione?

5- L’educazione è pericolosa quando la valutazione precede la verifica. Così come quando si giudica un film senza averlo guardato (mio fratello è figlio unico perché […]non ha mai criticato un film senza prima vederlo. R.Gaetano).

6 – Quando si affronta un problema educativo bisogna sempre tornare a guardare in basso, alla base, per poter lanciare lo sguardo poco oltre. Quando lo sguardo mira lontano rischiamo di non essere più nel campo educativo.

 

Cattivi maestri

7  – Un cattivo maestro è chi sottrae la fatica invece di aiutare ad affrontarla perché è il primo che quella fatica non vuole sopportarla.

8 – I cattivi maestri sono coloro che invece di voler affrontare un problema lo vogliono risolvere.

9 – I cattivi maestri sono coloro che vanno a caccia di problemi al costo di inventarseli. Ad esempio: se mio figlio non ha un problema non mi sto prendendo cura di lui.

10 – I cattivi maestri sono coloro che se non riescono ad affrontare un problema allora lo sminuiscono e non lo considerano.

11 – I cattivi maestri sono coloro che riescono solo a dire che c’è un problema. Non conoscono altre parole, quale fatica, difficoltà, ostacolo, vincolo, fuga etc.

12 – L’educatore si è costruito una identità sulla caccia al problema. Per lui se non c’è problema non c’è movimento.

 

Guardare nel buio

13- Piuttosto che pensare all’educazione come ad una fiaccola che illumina ed apre lo sguardo preferisco pensare all’utilità di una lente che metta a fuoco e circoscriva il campo.

14 – L’educatore dovrebbe sapere che la sua condizione più autentica non è la conoscenza ma il buio. Brancolare nel buio aiuta di più a percepire la necessità di cercare un aiuto più di quanto lo permetta la supposizione.

La Parte due la trovate su Artigianamente.blogspot.com

 

Ringrazio “Artigianamente” per il pezzo, perché nonostante il grande ritardo (ma nella vita la puntualità non è tutto) il suo scritto rientra senza nessun dubbio nel gruppo di post di #pedagogicAlert.

Christian S.

 

 


Brasile 2009Un sasso nello stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati alla vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad aver tempo e voglia si potrebbero registrare tutti, senza omissioni.

Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinite di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’ inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.

Gianni Rodari – La grammatica della fantasia – 1973 – Cap.2

Questo dovrebbe fare l’educazione, essere “sasso nello stagno”.

Christian S.

La foto è di Marco Bottani