Archivio per aprile, 2015

A proposito di dolore, vita e morte. A proposito di limiti, rischi e responsabilità. A proposito di rapporto tra la vita di un educatore e la vita degli altri.

Ovvero: I dialoghi tra Mister Red e Mister Blu. 

Tunisia 2000Lo sai, nel tuo lavoro può succedere. L’hai detto non più di due settimane fa in equipe che il nostro lavoro riguarda la vita e la morte. Sembrava melodramma, occhi perplessi o increduli, ma volevi dire che il lavoro che si fa è importante, è serio, bisogna farlo con cura, anche quando ridi insieme ai ragazzi o giochi a pallone. Lo sai, ma non ti va sempre giù: titoli dei giornali, solo se quel giorno qualcosa va storto. Ma dei giorni prima a corrergli dietro te ne ricordi ormai a migliaia, e te ne ricordi solo tu; in piscina anche se non ti va, a farti mordere, a ridere a piangere, con le vittorie, le sconfitte. Talvolta pensi a quello in tv con la battuta sempre pronta, a quello che è bravo con una palla o è sempre al posto giusto che guadagna in un giorno, un anno del tuo lavoro. Ma te lo sei scelto. Se non sei vecchio, magari hai pure studiato per quello. Se non sei stato fortunato magari hai visto tuo padre piegarsi negli anni, a  fare l’operaio, mai a cercare un riconoscimento. La paga a fine mese e basta così. E ti sei chiesto perché l’etica del lavoro è più praticata, dai 1500€ in giù.  Ma oramai sei stato educato così, che ci vuoi fare. E ci credi, che ogni vita è degna di essere vissuta se insieme rendiamo la vita degna, anche quando è  al limite, anche quando non parla, o dice cose strane, non muove muscolo. E credi che nel tuo lavoro ci sia una responsabilità nel renderla degna, insieme alla fatica di tante mamme e papà che non  vogliono, non possono arrendersi.

Poi. Poi un giorno succede. Terribile. Non doveva succedere, non poteva. Lo sapevi che nel tuo lavoro, ma non è come potevi immaginarlo. Accogli un papà in ospedale e mandi giù il pianto, perché non lo aiuti. No, forse perché ti vergogni di confrontare la sofferenza. Ma anche tu sei padre  e per un po’ il ruolo si appanna.

Ritorni a casa. Tuo figlio compie 10 anni. È un passaggio importante. L’ aspetta da settimane, questa serata speciale. Se la merita e anche noi abbiamo faticato per arrivarci. E così ridi insieme a lui e mentre lo fai un’ombra, un pensiero corre a quel letto di ospedale, a quel papà e senti il pudore di un’ingiustizia. Ma poi pensi e ti dici che abbiamo un dovere alla felicità, quando non è a spese degli altri. La sofferenza ci scorre attorno e qualche volta ci travolge. E i sensi di colpa sono solo acqua torbida che aggiunge dolore a quell’oceano di sofferenza. Ma pensa cosa sarebbe quell’oceano se non avesse una terra che lo contenga, o almeno un’isola che salvi dai flutti chi ne è investito. E allora abbiamo il dovere anche nei confronti degli altri di portare quella terra che è fatta anche coi granelli dei nostri momenti felici, di essere quell’argine che è fatto anche dalla responsabilità di fare bene il nostro lavoro, di essere quell’isola a cui possono aggrapparsi i naufraghi che un domani avranno anche i volti nostri, o dei nostri figli.

E allora domani, sveglia alle 6,30, treno e ancora al centro. Perché sì, ora sì che l’hai veramente capito: nessuno si salva da solo.

Mister Red

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Lo sai mister Red, che il tuo scritto rimbomba dentro di me come i bassi di una canzone drum’n’bass.

Milano_FuoriSalone 2015Rimbombano le parole dette e ascoltate in anni di lavoro educativo, le riflessioni sul rischio e sul limite. Sulla condivisione ed esplicitazione del pericolo. Rimbomba lo stretto collegamento tra l’educazione e la vita e in questa cosa tra educazione e morte, che parte della vita è. Rimbomba il dolore e il senso di impotenza di alcuni storie. Rimbomba l’eco del dolore di tutti i “miei ” ragazzi venuti per salutare, anni fa, un loro amico che non aveva avuto la forza o la fortuna di trovare qualche cosa per cui valesse la pena vivere. Riempiono i miei occhi le centinai di persone venute a salutare Luigi, anziano partigiano novantenne che non sembrava essere mai pronto per salutare. Ritornano tutte le immagini dei rischi che mi son preso in anni di lavoro da educatore e che mi prendo ancora oggi da padre. Quei rischi che si corrono quando si decide che è arrivato il momento di lasciare andare senza rotelle, di staccare la mano che tiene la bicicletta. Il rischio di perdere il controllo e di non poter più proteggere. Ritorna in mente la volta “del bagno al mare con la bandiera rossa” con Miss Purple. Ritornano le immagini di tutti gli errori fatti nella mia carriera professionale e degli errori che faccio, settimanalmente, da padre. Alcuni per dolo, alcuni per incompetenza, altri per stanchezza, altri semplicemente perché a volte capita. Quasi tutti errori che oggi posso raccontare sorridendo. Ma tu lo sai bene, mister Red, non tutti gli errori si possono trattare nello stesso modo, spesso alcuni errori son “più errori” di altri. La possibilità di riderci su, pultroppo dipende anche dall’esito.

Lo sai bene, mio caro Mister Red quanto questo tuo scritto risuonerà in mister Black, che con la morte ci ha fatto in conti mentre lavorava, come di rado capita ad un educatore, per fortuna. Chissà quanto altri educatori ed educatrici si ritroveranno nelle tue parole e nelle tue emozioni Mister Red, quanti di loro hanno fatto i conti con il senso del limite, del rischio, del pericolo, per sè e per le persone che avevano in carico. Quanti di loro si sono accorti della delicatezza e dell’importanza del nostro lavoro.

Lo sai quante volte mi son chiesto se valesse la pena prendersi un rischio e quante volte ho deciso di provarci, perché l’educazione è anche coraggio, perché senza il coraggio si rimane dove si è, fermi ad aspettare che le cose cambino da sole. Ma tu lo sai bene, le cose non cambiano da sole, spesso per cambiarle ci serve una spinta, una frase, un consiglio, un appoggio. Spesso ci serve qualcuno che ci accompagni lungo la strada e a volte dobbiamo esser lì anche il giorno dopo, alle 6.30, quando la sveglia suona.

Lo sai mister Red, il tuo scritto è pieno di te. Di ciò che sei come educatore, come padre, come uomo.

Lo sai bene Mr. Red, quanto spesso il nostro lavoro ha inciso sulla nostra vita e quanto i nostri figli ci hanno aiutato a resistere alla strana e pericolosa “usanza” di pensare troppo al lavoro. Viva i figli allora, caro mister Red, soprattutto quelli che pretendono, giustamente, di poter festeggiare il loro compleanno con i loro papà.  Quelli che ci permettono di poter portare quel granello di sabbia di felicità anche il giorno il passaggio dello Tzunami.

Mister Blu

Chissà cose ne pensano Mister Orange, Miss Yellow. Li attendiamo.

Le foto sono di Marco Bottani

tdo. locandina boal“Buonasera a tutte e a tutti! Stiamo per entrare nel mondo del teatro, un teatro “strano”, non canonico, decisamente un teatro che proverà a coinvolgervi e a farvi alzare dalle sedie…benvenuti al Teatro dell’Oppresso!”.

Con queste parole il conduttore (il jolly) di Teatro dell’Oppresso è solito aprire una sessione di Teatro Forum, forse la tecnica più famosa e praticata dell’intero arsenale ideato da Augusto Boal e dai suoi collaboratori in Brasile a partire dagli anni ’60.

L’esperienza di Teatro dell’Oppresso (TdO) è innanzitutto un’esperienza corporea. Quante volte accade di giocare corpo a corpo con le persone che abbiamo vicino, con i colleghi di lavoro o con chi condividiamo verbosissimi progetti? Ecco, il TdO per prima cosa riporta i partecipanti alla dimensione corporea essenziale, e il lavoro sull’espressività del corpo è una delle fasi più importanti di un percorso di TdO, che ci permette di traslarci in quel mondo altro che è la finzione teatrale.  Il profondo e prolifico nesso tra teatro ed educazione è ormai stato scandagliato dai maestri pedagogici nostrani e non, possiamo forse condensarlo in una riflessione di R.Massa: “Dunque la specificità del lavoro educativo sarebbe proprio la possibilità di istituire un campo di esperienza in cui l’esperienza stessa possa essere metaforizzata, rielaborata. Non si tratterebbe allora di rappresentare la vita, ma di acquisire consapevolezza, mentre si rappresenta la vita, delle rappresentazioni che la guidano”. Ed ecco che compare una parola, consapevolezza, che insieme ad esperienza ci rimanda all’idea di una consapevolezza intimamente legata all’esperienza vissuta con noi stessi tutti, non solo “la pancia” e neppure solo “la testa” ma, come da più parti si continua imperterriti a ricordare – e ne abbiamo bisogno data la nostra storica smemoratezza – come un insieme di dimensioni interconnesse che hanno a che fare con il cognitivo, l’emotivo, il corporeo, la sfera relazionale ed espressiva.  Insomma, con tutto il teatro che siamo.

TdO  perchè? Il nome di questa metodologia teatrale, sociale e partecipativa, ci trasporta immediatamente in una dimensione sinistra, cupa, gonfia di presagi inquietanti…Eppure, chi  per la prima volta si spinge a sperimentare un laboratorio di TdO probabilmente  ricorderà il lieve imbarazzo nell’iniziare a prendersi ironicamente gioco di sè e degli altri, le risate, il divertimento, la forza del gruppo e la meraviglia di un vero e proprio processo di conoscenza. Il TdO si basa su dei semplici assunti, che per chi bazzica il mondo dell’educazione professionale e naturale dovrebbero essere basilari e assodati:

-l’idea della modificabilità dell’uomo;

-l’idea che l’assunzione di consapevolezza – razionale ma anche incarnata, emozionata – mediante il teatro può provocare azioni mirate al cambiamento;

-il conflitto non viene risolto a tutti i costi ma si pone l’accento sulla possibilità di sostare nella dimensione conflittuale.

Parole come trasformazione, conflitto, consapevolezza non sono neutre, e tantomeno lo erano quando, influenzatissimo dalla Pedagogia degli Oppressi di Paulo Freire, A.Boal decise di utilizzare, con le masse di contadini analfabeti peruviani e con i lavoratori di tutto il Sud America, le sue tecniche per non-attori. Nel TdO tutti possono fare gli attori, perchè l’esperienza teatrale è qui concepita come connaturata all’essere umano che da sempre re-cita, interagisce e prova a guardarsi da fuori per appropriarsi di se stesso e attribuire significato al mondo in cui è immerso. Per il TdO, “il teatro è essenzialmente comunicazione, è un vero e proprio linguaggio e in quanto tale appartiene a tutti gli uomini, senza distinzioni (…). L’essere umano non fa teatro, è teatro”. Per questa ragione il TdO è anzitutto qualcosa che possono fare tutti, che si può almeno provare a fare, proprio perchè attinge dall’esperienza umana di ciascuno di noi. Così come l’educazione non si può dire neutra, così il teatro, che Boal ha utilizzato con le categorie più sfruttate ma anche più combattive del Sud America, non può essere neutro e anzi si mette al servizio di un’idea di cambiamento sociale, di trasformazione e di maggiore partecipazione politica dei cittadini.

Articolo di Giusy Baldanza

serata TDO -CasarileSettimana prossima il capitolo due

Se vi interessa capire come funziona. Eccovi l’occasione giusta per scoprirlo.

Grazie a Giusy, preziosa collega e EducAttrice appassionata.

Christian S.

Qui trovate il Capitolo Uno

boal2Nel tentativo di cogliere il profondo legame tra TdO ed educazione in senso ampio, ci viene in soccorso il Teatro Forum, forse la tecnica più emblematica tra quelle proposte da A. Boal: un gruppo di non attori prepara una scena di conflitto che metta in luce non solo l’aspetto psicologico dei personaggi ma anche la dimensione sociale, economica o politica che contribuisce a determinare la scena come situazione-problema. I non attori attingono alla loro viva esperienza per preparare la scena, incarnano problematiche reali e urgenti per loro e per altri che costituiranno il pubblico di spett-attori; la scena terminerà  nel momento di massimo conflitto tra le parti e non verrà risolta. Ed ecco il perchè di un nome strano, “spett-attori”: il conduttore (Jolly) prova a interrogare il pubblico su ciò che ha visto (poichè l’immagine è polisemica e vi si attribuiscono significati differenti) e a lasciare che si coinvolga profondamente in quella storia che si auspica possa essere anche un pò la sua.

IMG_8865 L’identificazione o il riconoscimento che si crea tra spett-attori e scena costituiscono la ragione per cui il pubblico si alzerà dalle sedie, per provare -nella bolla magica e protetta del teatro- a trasformare una situazione che nella realtà è davvero avvertita come penosa, bloccata, di difficile cambiamento. Gli interventi del pubblico permettono a tutta la comunità di imparare qualcosa osservando il susseguirsi di tentativi di liberazione dalle oppressioni anche se, per Boal e prima ancora per Freire, l’oppressore non è una entità separata ma spesso presente internamente allo stesso oppresso…e di cui occorre, mediante il gesto creativo del teatro, prendere consapevolezza. La comunità coinvolta in un processo di Teatro Forum si riconosce nella vicenda presentata dai non-attori, ha forse vissuto le stesse dinamiche e si muove irrequieto sulla sedia perchè “qui è tutto un disastro! Bisogna fare qualcosa…”come disse un bambino venuto ad assistere ad un Forum ambientato nel contesto famigliare.

tdo 1L’empatia stimolata dal confronto con gli attori o, meglio ancora, da una sessione di giochi-esercizi di TdO in cui si impara ad entrare in relazione con la propria corporeità in modo emancipante e solidale con gli altri corpi, funge da motore trainante l’azione, così come la consapevolezza di un sistema che produce ingiustizie e schiavitù, di cui noi pure siamo attori non sempre consapevoli. In questo senso il conflitto è inteso come un processo di esplicitazione di bisogni diversi, di chiarificazione e de-mistificazione delle dinamiche di potere in cui siamo immersi e che noi stessi agiamo, visibili a partire dalla postura spaziale e corporea, dalle sue meccanizzazioni e chiusure, dai suoi tic e aperture. Qualsiasi contesto sociale abitato da dinamiche di potere, di lotta e di volontà di cambiamento è una potenziale scena di Teatro Forum, dunque una potenziale scena di gioco teatrale. Maggiore è l’urgenza -personale, comunitaria, sociale- della situazione conflittuale messa in scena, maggiore sarà la partecipazione del pubblico/comunità partecipante a cui viene riconosciuto l’essere competente sulla propria vita e, a partire da questa competenza, la possibilità di costruire singolarmente e collettivamente ipotesi di cambiamento, in un processo di educazione reciproca e diffusa.

tdo 2Ad esempio, una classe quinta della scuola primaria porterà in scena delle storie di quotidiana fatica scolastica, o di bullismo o ancora di conflitti familiari comuni; un gruppo di adolescenti dell’Irlanda del Nord rifletterà teatralmente sui modelli adulti di riferimento o sulle domande tipiche della loro età, un gruppo di donne senegalesi sceglierà magari una storia legata alla propria condizione di donne e così via…Ci permettiamo di dire che un utile accorgimento, nel TdO così come nel mondo dell’educazione, è quello di porsi in ascolto delle storie degli altri e avere fiducia nelle capacità del singolo e del gruppo di determinare la propria vita, il proprio percorso di liberazione che, inutile dirlo, si configura come un percorso collettivo.

Articolo di Giusy Baldanza

*Se volete contattare Giusy (giuseppina.baldanza@artiemestierisociali.org)

Fonti: R.Massa “Il teatro, la peste, l’educazione”  – Boal “Il Teatro degli oppressi”

Foto di Angelo Miramonti

P1060946Ovvero : Oggi papà viene a scuola con me (parte due). La parte uno la trovate qui

19 Marzo, festa del papà. Seconda esperienza alla scuola dell’infanzia. Una giornata, che questa volta pare partire all’insegna della consapevolezza, del ” so cosa mi aspetta”, del “adesso succede che…” ed invece. Già, perché hai sempre l’idea che essendoci già stato tu possa sapere cosa ti attende. Hai sempre l’idea che alcune emozioni, avendole vissute, siano controllabili. Ma basta poco a comprendere che le cose non stanno proprio così.

Pensi di aver imparato (ed è vero). Pensi di poter prevedere. Pensi che ne uscirai felice, senza scossoni, questa volta tranquillo e senza sorprese, ma presto ti accorgi che non è così, che ogni storia, ogni figlia, ogni esperienza di paternità ti trascina in una nuova strada.

Ore 9.00

Laboratorio con mia figlia Lisa (quasi 3 anni).

Obiettivo:  costruzione di una macchinina a vento e di una girandola.

Senso della giornata: ovviamente star con mia figlia, nel suo posto, con i suoi compagni, almeno una volta all’anno.

Valore: poterla guardare dove di solito non posso. Un’occasione rara, che difendo sempre con le unghie. Una grande occasione, che le educatrici di mia figlia mi hanno regalato anche quest’anno. Una mattinata che ha reso speciale una delle tante feste a cui sono allergico. Un nuova occasione di apprendimento, come sempre sono, le mie esperienze da papà.

Coloriamo la girandola. Guardo la spiegazione, sembra facile. Mia figlia si occupa del colore e del taglio della carena della macchina, mi distraggo un secondo e al posto della carena trovo una strana forma. Ci guardiamo. Mia figlia si accorge, credo dal mio sguardo, di non aver proprio fatto ciò che io e il progetto ci attendevamo da lei.

Mi guarda con quella faccia furba e mi dice. “Vabbè, fatto pasticcio”

Io, accompagnato da uno strano vento di calma e di attenzione pedagogica (cosa che con le mie figlie non sempre mi riesce), trovo un nuovo pezzo di carta, ridisegno la carena e le ripropongo il lavoro.

Riproviamo un altro paio di volte, ma la carena è roba da specialisti. Da padri appassionati di macchine, come si vede dalla foto, da padri non come me.

Mentre Lisa trita l’ennesimo foglio di carta, io provo a costruire la girandola, con quell’attenzione fluttuante che di solito non è per nulla presupposto di un lavoro di qualità.

Prendo la girandola colorata da mia figlia: taglio, incollo, piego e oplà… girandola finita.

Io : ” Guarda Lisa” . Soffio e la girandola vola via (mi ero dimenticato di fissarla con il perno).

Mi giro, con quella strana sensazione di avere gli occhi addosso e intercetto la faccia attenta di mia figlia.

Lisa: ” Papino Pasticcione”. Uno a uno e palla al centro. 

Ore 12.oo

Finisce la mattina e mi trovo a dover ringraziare le educatrici di mia figlia, che han fatto educazione senza quasi usar parole. Ma costruendo tempo e spazio per stare e soprattutto fare insieme.

Esco da scuola  e mi trovo in macchina, con la LisaCar sul sedile. Mi  ritrovo a sorridere e a ringraziare ancora una volta di aver incontrato le mie figlie, senza cui sarei sicuramente un uomo peggiore. Senza le quali sarei un uomo molto, ma molto meno felice.

Mi trovo a pensar di aver fatto una grande cosa il 19 marzo quando non sono andato a lavoro, ho spento il cellulare e mi son seduto su quella seggiolina scomoda a far merenda con mia figlia.

Christian S.

Ringrazio Sabrina per la foto e soprattutto per l’attenzione e la cura che pone nel coordinare il gruppo di educatrici della scuola di mia figlia. Ringrazio Monia e Federica, perché il loro sguardo, la mattina, mi aiuta a lasciare serenamente mia figlia.