Archivio per aprile, 2012

Resistere è un dovere.

Si resiste al dolore, all’apprendimento, si resiste per difendersi. Proviamo a resistere alle ingiustizie.

Oggi è necessario resistere alle barbariche invasioni culturali e intellettuali.

Resisto da un pò alla fastidiosa idea che mi passa nella mente quando, tutte le mattine, i soliti furbetti sorpassano, nell’altra corsia, la lunga fila che faccio per uscire dal mio paese. Resisto all’idea di uscire dalla fila per tamponarli.

Resisto all’idea di cambiare lavoro, perchè ciò che prendo non è degno per lo sforzo e la responsabilità che porto sulle spalle.

Resisto costantemente, da un pò di anni, alla voglia di non votare più.

Resisto alle invasioni degli altri, soprattutto quando le sento disinteressate, quando sento che non c’è nessun interesse nel farmi crescere.

Resisto quando sento parlare male degli insegnanti, dei medici e dei migranti. Resisto all’idea di portare via la mia famiglia da un paese che amo ma che sempre di più trovo non degno di avermi come cittadino.

Resisto al dolore che mi provoca l’idea che ci siano ottimi professionisti dell’educazione che faticano ad arrivare a fine mese.

Resiste dentro di me l’idea che fare educazione sia il miglior modo di far politica in questo nostro, strano paese.

Resisterò ancora tanti anni, perchè ciò che faccio è un lavoro pulito, trasparente, non comprabile e non barattabile.

Resistere è una delle possibilità di scelte che mi rimane. Resistere in un mondo in cui la libertà di scelta spesso fa rima con il disinteresse per me significa dar valore alla possibilità di dire : questa volta no!

Resistere, per me oggi, vuol dire provare ad andare oltre la crisi economica, oltre la crisi dei servizi educativi, oltre i tagli alle politiche alla persona, oltre la concorrenza delle cooperative e oltre il pessimo contratto che abbiamo.

Resistere è andare “oltre”, oltre quella sensazione che ci sia poco da fare per risollevare un paese culturalmente, educativamente e intellettualmente alla deriva. Resisto all’idea di pensarla così.

Resistere è per me, un ‘opportunità di crescita e quindi una possibilità pedagogica.

Non resisto alla felicità che mi da, finalmente, scrivere.

 

Christian S.

Tu a cosa resisti?

Non resistere :

  1. al desiderio di cambiare il mondo.
  2. alla voglia di crescere, insegnare ed imparare.
  3. alla necessità di assumersi la propria responsabilità.
  4. alla opportunità di fare ciò fai, nel migliori dei modi possibili.
  5. alle possibilità.
  6. al pensiero che il mondo lo si cambia soprattutto cominciando a fare il proprio pezzo.
  7. alla stanchezza ed alle fatiche.
  8. alla bellezza delle cose.
  9. all’idea che gli errori facciano parte della vita.
  10. a presidiare le scelte e le azioni educative che metti in atto.

Resisti ad altro!

Buona resistenza e Buon 25 aprile.

Christian S.

Il 14 marzo 2012 c’è stato il convegno organizzato dalla Università Bicocca di Milano dal titolo Uomini in educazione, noi lo avevamo anticipato con tre post che potete rileggere e che trovate qui sotto.

  1. Qui ci vuole il maschio
  2. AAA cercasi educatore maschio
  3. Educazione e cura al maschile

Settimana scorsa mi è arrivata una mail da una collega che era al convengo, eccovi la mail : “Ciao Christian, sapendo che il tuo blog ha una rubrica sul tema della cura e l’educazione al maschile, ho pensato di inviarti un report sul convegno tenutosi in bicocca: “Uomini in educazione.” Esso non vuole essere un resoconto esaustivo e preciso di tutto il convegno, ma ho pensato di condividere con te e il tuo blog i miei appunti per poter continuare a riflettere insieme sul tema. Grazie, buona lettura!” Alice

Non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di approfittare del lavoro fatto e quindi eccovi : Uomini in Educazione – Il report

Colgo inoltre l’occasione per ringraziare ovviamente Alice Tentori, Andrea Marchesi che ha avuto l’idea dei 3 post e soprattutto Salvatore Guida che ha citato il mio Blog al convegno.

Buona ri-lettura.

Christian S.

 Sabato mattina, davanti al banco della frutta e verdura.

Al mercato del mio paese, alcuni commercianti mi conoscono (la spesa è una delle mie mansioni preferite, soprattutto nei mercati) e soprattutto conoscono il lavoro che faccio. Alcuni hanno capito bene altri meno ma in questo caso ciò che faccio, alla ragazza del banco della frutta e verdura, è assolutamente chiaro.

Lei è una mamma di due bambini, il più grande ha l’età di mia figlia, ogni tanto è al mercato con loro, io lo conosco e con la madre ho già parlato di lui.

Mi ha raccontato di qualche fatica, delle difficoltà che ha avuto alla nascita del fratello e di qualche difficoltà scolastica.

ore 11.00

Quando mi vede mi salute e mi dice : ” posso chiederti una cosa?”.

Rispondo: ” certo, dimmi pure…”

Avverte il marito e ci mettiamo poso distanti, ne segue una chiaccherata di circa 15 minuti. Nella chiaccherata, la ascolto, le do un pò di consigli sulle questioni educative del figlio e le lascio un paio di suggerimenti su cosa leggere e su cosa fare per aiutarlo. Mi ringrazia in modo molto sincero.

ore 11.30

Compro la frutta ( 2 kg di arance) e pago.

ore 11.37

Poi mentre me ne vado penso : “io le ho dato la mia competenza, lei la sua. Io pago le arance, a prezzo pieno, e lei si becca la consulenza, gratuità”. Mi pare che ci sia qualche cosa che non funziona, sbaglio?

Christian S.

“Di lavoro faccio il consulente pedagogico, l’educatore e il padre…”

“Perchè, ti pagano anche quando fai il padre?”

“No, ma è un lavoro comunque…”

 

Premessa: Ci sono diverse tipologie di educatori, quelli che lo fanno solo di lavoro, quelli che lo fanno solo nella vita e quelli che lo fanno sia di lavoro che nella vita, io faccio parte della terza tipologia. Questa appartenenza non fa di me ne un eroe ne altro, fa di me solo ciò che sono. Far parte della terza tipologia non sempre mi aiuta, ma alcune volte è utile. Mi aiuta perché posso riflettere sia su ciò che faccio come padre sia come professionista dell’educazione. Non mi aiuta perché da genitore faccio la stessa fatica di altri, anche se spesso mi dicono ” tu dovresti sapere come fare…”.

L’educatore professionale: Ho sempre pensato che fare l’educatore professionale fosse difficile, a volte duro, in alcuni casi quasi senza senso. Tanta fatica, tanto sudore, una discreta dose di dolore, qualche botta, costante messa in discussione del ruolo, stipendi  spesso orrendi, poche possibilità di carriera, insomma un “lavoro sporco” come l’ho definito in uno dei post passati (…é un duro lavoro…). E’ un lavoro che fa i conti spesso (quasi sempre verrebbe da dire), con chi ha difficoltà, con chi fa fatica, con chi è in situazione di fragilità. E’ un lavoro che quasi sempre fa i conti con chi ti porta oltre il limite, con chi oltre quel limite c’è andato più volte e con chi rischia di andarci. E’ un lavoro che chiede di tollerare cose che altri lavori non chiedono. Un lavoro che ti espone a violenze e rischi costanti, spesso con poche tutele e difese, un lavoro che ti sottopone a una forte pressione. Penso, comunque, che sia uno dei lavori più belli, nonostante la fatica che si fa.

I geni-educatori: Ho incontrato tanti genitori-educatori, ho ascoltato tante storie, ma ve ne sono alcune che colpiscono più di altre, perchè ti accorgi, quando le leggi, che ti possono insegnare delle cosa sia come padre che come professionista. Quando incontro alcune storie (Uno, due, tre…si dorme) o (Nata dislibera) o quando mi capita di ascoltare i genitori che fanno i conti tutti i giorni, più di me, con le grandi fatiche educative, mi sorgono alcune domande sui motivi per cui da parecchio tempi, faccio questo lavoro. Ricercare i motivi di una scelta professionale è importante, in alcune fasi, perché ti permette di ritrovare il senso di ciò che fai, il senso di una scelta che rischia spesso di non essere comprensibile quando si è stanchi e sotto pressione. Ascoltare le storie di chi fa i conti nella propria quotidianità, con chi ha fragilità, alcune volte mi ha aiutato a fare questo e per questo li devo ringraziare.

 Il valore di una scelta, ovvero :”Perché fare l’educatore professionale?”.

  • perché, altri, hanno bisogno di essere alleggeriti, qualche volta.
  • perché altri non ci son riusciti.
  • perché tutti, anche quelli che ci mettono in difficoltà,  hanno il diritto di avere un educatore vicino.
  • perché lo abbiamo scelto.
  • per chi riesce quasi da solo ma soprattutto per chi non ci riesce.
  •  per chi ha veramente difficoltà.
  • anche per dire che non tutto è possibile, che esistono richieste inaccettabili.
  • perché siamo rimasti solo noi.
  • perché abbiamo studiato tanto per questo.
  • perché continuiamo a crescere per farlo.
  • perché…

Fortunati, ovvero :”Alcuni dei diritti degli educatori professionali”

  1. a fine turno si chiude e si va a casa.
  2. la nostra responsabilità è limitata da un contratto di lavoro, da tempi, luoghi e mansioni.
  3. abbiamo doveri ma anche dei diritti.
  4. abbiamo uno stipendio. 
  5. abbiamo degli spazi di riflessione ( l’equipe, la supervisione e la formazione).
  6. abbiamo la possibilità, costante, di confrontarci con i colleghi. 
  7. abbiamo la possibilità di decidere se restare o andare.
L’educatore del 3° tipo, ovvero: ” alcune delle possibilità per sopravvivere al duro lavoro dell’educare…”
  • E’ quel padre che sente il bisogno di farsi delle domande, di riflettere attorno a ciò che succede, giorno per giorno, al proprio figlio.
  • E’ quella madre che si chiede cosa ha fatto e cosa può fare per imparare delle cose nuove sul suo ruolo.
  • E’ colui che sente, comunque, una responsabilità educativa nei confronti di coloro che incontra.
  • E’ l’educatore che riesce ad imparare delle esperienze che incontra, che siano professionali o naturali, poco importa.
  • E’ l’educatore professionale che ha compreso che anche delle esperienze narrate dagli educatori naturali si possono imparare delle cose sull’educazione professionale.

Io, di educatori del terzo tipo, per fortuna, ne ho incontrati alcuni.

Le conclusioni: In molti casi educatori naturali ed educatori professionali si assomigliano, nei diritti, purtroppo, molto meno. Se la guardo da questo punto di vista, fare il professionista dell’educazione mi sembra meno difficile che fare il padre. Se penso ad alcune fatiche che ho fatto nella mia carriera professionale, insegnare a mia figlia ad andare in bicicletta mi pare una passeggiata.

Christian S.